L’avvio dei piani di riequilibrio nei primi dieci anni completi che possiamo analizzare (2012-2022) è rimasto piuttosto stabile, assestandosi su una media di circa 46 procedure attivate ogni anno, con un minimo di 29 nel 2020, verosimilmente influenzato dalle misure introdotte per contrastare gli effetti della pandemia, e un massimo di 64 nel 2013.
È però fondamentale osservare come l’andamento dei ricorsi ai due istituti abbia riflesso non soltanto l’effettiva condizione di instabilità o stabilità finanziaria degli enti, quanto anche l’evoluzione delle normative. Questo si può osservare nei dati degli anni più recenti ma anche in quelli più lontani. Nel 2020 è verosimile che il calo delle attivazioni sia effetto del tamponamento dalle misure menzionate sopra, mentre si legge nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali della Corte dei conti del 2023: “Altro elemento che ha scoperto disequilibri finanziari è stata l’entrata a regime, nel 2015, della nuova contabilità armonizzata che, con i nuovi accantonamenti obbligatori, ha inciso significativamente le possibilità elusive del decisore locale e, richiedendo una serie di accantonamenti, ha messo in tensione i bilanci degli enti”.
Considerando invece i primi anni, non è probabilmente un caso che nel 1996 si sia registrato un calo dell’80% delle attivazioni rispetto all’anno precedente: il d.lgs. 77/95 aveva infatti rivisto l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali con impatti rilevanti sulle attività di programmazione finanziaria, di previsione, di gestione, di rendicontazione, di investimento e di revisione. Nel 2000, con l’entrata in vigore del TUEL, che ha assorbito gli aggiornamenti normativi del decennio precedente, non è stata attivata nessuna procedura.
Circa il 12% dei comuni italiani, a partire dal 1989, ha fatto ricorso a una delle due procedure per risolvere una situazione di criticità finanziaria, per un totale di 1300 attivazioni, di cui 754 dissesti e 546 predissesti, alcuni ripetuti nello stesso ente. Non è una percentuale irrilevante, ma è analizzandola dal punto di vista geografico, regionale, che otteniamo un quadro più completo e chiaro: sono 962 i comuni che hanno fatto ricorso ad almeno uno dei due istituti, ma il fenomeno si è concentrato in modo assai più rilevante in alcune regioni del sud Italia, tanto da essere considerato “strutturale”.
In Calabria il 52% dei Comuni, ha attivato un dissesto o un predissesto, in Sicilia il 36%, in Campania il 36%. Qui si è concentrato circa il 63% dei dissesti e predissesti attivati. Anche in Puglia, Molise, Basilicata e Lazio le criticità finanziarie rappresentano percentuali importanti pari rispettivamente al 28%, 24%, 23% e 22% dei Comuni. Si attestano su dati meno critici Umbria e Abruzzo, con un 12%, mentre tutte in tutte le altre regioni il fenomeno può essere considerato marginale o, come nei casi della Valle d’Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Friulia Venezia Giulia, della Sardegna e del Veneto, pressoché inesistente.
Come si legge nella relazione della Corte dei conti, “permane il rapporto diretto tra criticità finanziaria e dimensione del Comune”. Infatti, considerando le amministrazioni locali in relazione alla popolazione, i due fenomeni sono più frequenti nelle città più grandi, in particolare quelle con più di 20 mila abitanti dove coinvolgono oltre il 21% degli enti, nonostante sia superiore il numero assoluto di piccoli comuni ad aver fatto ricorso a uno dei due istituti. La diffusione del dissesto si attesta intorno al 7% per le cittadine con meno di 2 mila persone, sul 10% in quelle con meno di 5 mila abitanti e supera il 12% in quelle fino ai 20 mila. Il predissesto ha invece interessato quasi il 4% dei comuni con meno di 2 mila abitanti, il 6,5% di quelli tra i 2 e i 5 mila, e supera appena il 10% in quelli fino a 20 mila.
I dati disponibili permettono di fare un bilancio dell’efficacia delle normative e degli strumenti per recuperare o scongiurare una crisi finanziaria nei comuni. Consideriamo, per esempio, il numero di enti che hanno attivato due, tre, quattro o addirittura cinque volte uno o entrambi gli istituti: sono 262 amministrazioni, il 27% di quelle coinvolte dal fenomeno, per un totale di 600 procedimenti, ovvero il 46%.
Considerando in particolare il predissesto, introdotto nel 2012 come strumento per prevenire le crisi, i dati dimostrano come la procedura del piano di riequilibrio si sia spesso dimostrata inefficace nel ristabilire l’equilibrio finanziario nel bilancio. Il 31% dei procedimenti attivati, 171 su 546, è fallito e sfociato nella dichiarazione di dissesto: nella relazione della Corte dei conti si legge che molte di queste “sono avvenute in fase istruttoria che, con la sua lunghezza, contribuisce ad aggravare lo squilibrio dell’ente”. Un altro dato concorre a fornire un quadro della situazione più completo: solo il 9,5% dei riequilibri è andato a buon fine: si tratta di 52 procedure su 546!
Osservando il fenomeno dal punto di vista geografico, si nota come la maggior parte dei fallimenti del piano di riequilibrio si verifichi al sud, nelle regioni in cui le crisi finanziarie sono più diffuse e, come accennato, strutturali: 9 i dissesti conseguiti a un tentativo di riequilibrio al nord, 21 in centro Italia, 141 al sud. Al contrario, nel centro-nord le procedure sono spesso andate a buon fine, chiudendosi anche in anticipo: 23 nel settentrione, 12 nel centro, 17 nel meridione.
La Corte dei conti, nel suo rapporto, osserva poi come anche il dissesto sia attualmente uno strumento poco efficace, per vari motivi. Si legge infatti che “La procedura di dissesto risalente ed oggetto di molteplici interventi di manutenzione, mostra i suoi limiti. Essa si svolge attraverso un procedimento non agile che presenta vari aspetti critici come il dualismo tra Osl e decisore che resta in carica per gestire il bilancio riequilibrato, l’opacità dei confini tra Osl e amministrazione ordinaria, la precarietà della massa attiva e la rilevanza di partite passive trasferite al comune in bonis, che spesso lo fanno ripiombare nella criticità”. 94 comuni hanno dichiarato due volte il dissesto, 30 per ben tre volte, 10 per quattro volte, e uno per 5 volte!
A conferma ulteriore, osserviamo come dal 2008 al 2018 a fronte di 117 i dissesti chiusi ne restino 76 ancora aperti e 1 rigettato: solo il 60% è andato a buon fine.
Il dissesto e il predissesto (puoi leggere qui l’articolo sulle procedure di recupero e l’articolo sulle conseguenze del dissesto finanziario), seppur siano conseguenze di una crisi finanziaria e abbiano un significativo impatto sociale negativo, possono rappresentare un’opportunità unica di rilancio per un comune: infatti, la predisposizione del bilancio stabilmente riequilibrato oppure di un piano di riequilibrio finanziario pluriennale, anziché come meri adempimenti normativi, possono essere colti come un’occasione imperdibile di autoanalisi per un ente, con lo scopo non solo di superare la crisi, ma di ottimizzare l’azione amministrativa, tecnica e contabile.
Nonostante la complessità della normativa, i serrati adempimenti, la scarsità di personale e di competenze specialistiche, gli enti locali possono invertire la rotta e ricostruire degli equilibri di bilancio solidi e sostenibili, ma soltanto avvalendosi di metodo, coordinamento, coinvolgimento delle persone e reale volontà di approfondire le cause che hanno portato allo squilibrio.